Mary Sgobba
“Pianeta uomo” – Agosto
1987
“Iter di un sentimento”, “Emozioni e metamorfosi” e “Proposte e ricerche in 15 anni di pittura”
sono le ultime tre tappe del cammino artistico di Mary Sgobba: Queste tre fasi
non possono che intendersi come momenti evolutivi di una ricerca che ha tutta
l’aria di voler indicare non un traguardo, ma una partenza; una partenza alla
quale l’artista è giunta dopo un severo training e dopo essersi espressa
attraverso il nero, il rosso e il rosa che ricercavano la sublimazione del suo vivere,
o meglio dell’essere donna, superando l’uomo che non è più creatore, ma motivo
di creazione.
Le opere delle passate esperienze stillavano una mistica
intellettuale, quasi un mistero dell’anima sottoposta a dure sofferenze, quando
l’uomo appariva essere causa di dispiacere e quindi assurgeva a vero motivo
ispiratore dell’artista e le diverse pose erano in stretto legame con la vita
interiore che è fatta di mute sofferenze e di passioni soffocate.
Questo libro, sfogliato pagina per pagina, fa emergere
l’impressione che dalla crisi morale emergono momenti di verità profonda. Tutto
sembra accadere in maniera fantastica, riuscendo ad esprimersi al meglio nelle
sue diverse forme di essere donna.
Che cosa significa essere uomo? Ordinare i sentimenti e
rifletterne l’esperienza. Significa, cioè, andare verso il sublime per meritare
le virtù. “Pianeta uomo” riesce a creare questa forte sensazione di idealità
attraverso le forme dell’arte pittorica che relazione bene con le forme del
pensiero. L’impatto con questa vernice può apparire, a prima vista,
imbarazzante, ma Mary non ha bisogno di coraggio per esprimere quello che
pensa, i suoi sentimenti che passano sempre dal nero, dal rosso e dal rosa:
dolore, passione, femminilità.
Estasi, unione, pudore, dualismo (non sono soltanto i
titoli di alcune opere) rendono la sofferenza non più psicologica, ma
sociologica; non più dell’anima, ma del corpo, e allora ecco che mentre si
percorre questo iter appare, per la prima volta, l’uomo sofferente, ma la
sofferenza è solo corporea, appare essere quasi una scissione tra anima e
corpo. Emerge, in questo ambito, il tema della fede che spesso ci angoscia, ma
ci libera anche per il fatto di credere nella vita, come pure nella morte: due
punti entro i quali si svolge una esistenza che sarebbe nulla se non ci fosse
l’idea della eredità.
Un mondo meraviglioso che va compreso gradualmente e in cui
l’artista parla continuamente col suo fruitore attraverso il suo flusso che è
sempre presente nelle sue opere e che indicano nuovi orizzonti e nuove
sensazioni. Poter annullare la sofferenza attraverso il riposo divino è cosa
possibile: i segni del volto scarno e
vuoto del Cristo nasce col nero per conservare i connotati della sofferenza e
si staglia poi nella luce della ragione e del sentimento.
Una costante comune a questa ultima produzione della
Sgobba, sembra essere il buio che crea la figura e, a sua volta, produce luce.
Anche questo assume le sembianze di quel dualismo che ora comincia a
decodificarsi. Il fruitore è obbligato a partire dal pensiero per poi arrivare
al colore che meglio determinano e specificano le motivazione che sono
all’origine della ispirazione artistica che appare essere quella della
decodificazione delle passioni, forse anche virtù, in immagine dai colori
significativi. Notevole la produzione del “sanguigno” che segue un proprio
codice espressivo guidato solo e soltanto dalla passione…
non sappiamo se amore o vizio.
E c’è poi il pudore, la dolcezza, l’abbandono (che non sono
sempre soltanto i titoli di alcune altre opere): tutti definiti da brevi cenni
del colore che mentre abbozzano la scena, hanno la pretesa di volerla
sospendere, quando è già entrata nell’immaginario individuale e comincia a
svolgere una azione di svolgimento che può portare alla ragione o al peccato.
Pittura comunque forte e complessa che è strettamente
legata ai moti interiore dell’animo della Sgobba che non è di facile lettura,
ma di difficilissima interpretazione in quanto sfugge a qualsiasi contenimento
nel razionale e nel luogo comune. Ma forse questa può rappresentare la sua
diversità e, credo, anche la sua sofferenza esistenziale.